lunedì 1 agosto 2011

NEUROMANTE - William Gibson

Considerato un "must" per gli amanti del genere cyberpunk, Neuromante offre un inquietante sguardo sul futuro dell'umanità. Con uno stile spigliato e decadente, Gibson ci porta in un domani non lontano, dove la simbiosi uomo-macchina è completa, al punto che si distingue a fatica il confine fra i due mondi. L'uomo è in parte macchina e la macchina è in parte uomo, sebbene la macchina resti ancora confinata in una sorta di dimensione parallela, il cyberspazio appunto, nel quale però Case, il protagonista, ci bazzica spesso e anche volentieri, alla ricerca di informazioni da rubare, di protezioni da scardinare, utilizzando virus informatici e altri strumenti iper-tecnologici. Niente a che vedere con il solito ragazzino nerd che mette in imbarazzo gli amministratori di rete dell'ente militare di turno, Case entra con la propria mente direttamente nel mondo privo di forma e di sostanza nel quale le informazioni scorrono, vengono scambiate o tenute al sicuro, per farne man bassa, per rivenderle al miglior offerente.
Gli spunti di riflessione proposti da Gibson sono numerosi e in gran parte attuali. Lo stile risente un po' dell'epoca in cui il libro è stato scritto, gli anni '80 della droga, della malavita organizzata, delle grandi multinazionali. Oggi questi fenomeni sono stati metabolizzati dall'opinione pubblica ma non per questo hanno cessato di esistere e il corso delle cose, come l'attualità ci indica, non sembra andare in una direzione molto diversa da quella ipotizzata dallo scrittore americano.
Sempre più numerose sono le acquisizioni di imprese più piccole o in difficoltà da parte di aziende di livello mondiale, addirittura in certi casi proprietarie di beni ed enti pubblici, eventi favoriti dalla recente crisi economica. Nulla di strano quindi nel paventare un futuro letteralmente dominato da queste mega-società il cui unico obiettivo è realizzare il profitto e mantenere il proprio status.
Stesso discorso per quanto riguarda la cibernetica, i passi avanti fatti nella genetica permettono di pensare a protesi e dispositivi vari impiantati nel nostro corpo per aiutarci a vivere o a sopravvivere. Niente di strano dunque nell'immaginare personaggi dotati di bracci meccanici, di lenti scure computerizzate al posto degli occhi, di organi "speciali" che possono salvare o compromettere la vita di un uomo.
Il futuro immaginato da William Gibson non è remoto, per certi versi può essere esaltante ma anche pauroso. Se a queste visioni associamo uno stile di scrittura da noir, cinico, disperato, violento, otteniamo una miscela esplosiva, coinvolgente, seducente.
Uno stile che travolge il lettore, lo inchioda con quel modo diretto e un po' volgare di presentare le scene ma che non è facile seguire. Gibson non ti fa stare a tuo agio, il ritmo è incalzante, rari i momenti di quiete, si ha sempre il fiatone e spesso non si fa in tempo a rendersi conto di cosa sta accadendo. Molte cose vengono date per scontate, l'immagine è spesso sfocata, si ha l'impressione di essere perennemente fra il sonno e la veglia, come Case, preda di qualche droga che ci porta sull'orlo di una sensazione onirica, come guardare un film in una lingua incomprensibile senza sottotitoli. A causa di questo torpore affannato, la trama scivola via, sfuggente e resta la sensazione di essere stati trasportati in una dimensione perfettamente realistica, così ricca di dettagli, così precisa nelle descrizioni, così vera da restare abbagliati ma allo stesso tempo di non essere in grado di capire cosa sta accadendo.
Resta poco della storia in sé ma, come ogni sogno agitato, alla fine rimane un senso di inquietudine, di disagio, di incertezza.

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