lunedì 30 giugno 2008

L'ELEGANZA DEL RICCIO – Muriel Barbery

Tutti noi siamo paragonabili a un riccio. Tutti, chi più chi meno, tendiamo a costruirci intorno una corazza di aculei dietro cui nascondere la propria essenza per timore di essere giudicati o per non deludere le aspettative che gli altri hanno su di noi e sul nostro ruolo all'interno della società. Quando però si trovano le persone giuste, in grado di vedere al di là della corazza di aculei, allora e solo allora, nascono le vere amicizie.
Nel suo romanzo Muriel Barbery ci racconta di due ricci che si incontrano, di un'amicizia, a prima vista improbabile, tra la portinaia di un elegante palazzo parigino, amante dell'arte e della filosofia, e una ragazzina, intelligente ed introversa, che ha già deciso la data della sua morte.
Sono molti gli elementi che rendono L'Eleganza del Riccio una lettura piacevole. Tra questi spiccano i personaggi ben caratterizzati e in grado di rappresentare al meglio l'aridità e l'ottusità di una certa classe borghese. La presenza di una doppia voce narrante, la portinaia e la ragazzina, rendono l'intreccio del romanzo mai banale. La scrittura della Barbery è sempre molto elegante.
Nonostante questo però il romanzo non riesce ad emozionare e ad appassionare come dovrebbe a causa delle eccessive dissertazioni filosofiche, e non sempre particolarmente originali, in cui l'autrice scade e che rendono i personaggi talvolta poco credibili.
Sicuramente, una volta finito, guarderete con occhi diversi e liberi da pregiudizi la vostra portinaia e chi vi sta intorno.

Ulteriori informazioni su Muriel Barbery
Continua...

venerdì 20 giugno 2008

FONDAZIONE - Isaac Asimov

Quello della Fondazione è un ciclo di romanzi dalle dimensioni ciclopiche. Lo stesso Asimov, quando lo iniziò, probabilmente non aveva in mente un così vasto sviluppo, è stato solo in un secondo momento che prese la decisione di collegare gran parte delle sue opere con uno stesso filo conduttore. Ottenendo tutto sommato un risultato abbastanza coerente.
Ma non è per questo che il ciclo della Fondazione verrà ricordato. Ciò che lo ha reso una delle opere più apprezzate della fantascienza a livello mondiale è la geniale intuizione che sta alla base di tutto, quella “psicostoria” grazie alla quale, in funzione di complessi calcoli matematici e statistici, la scienza è in grado di prevedere il futuro con estrema precisione, purché il campione sul quale i dati vengono elaborati sia composto da un gran numero di individui. La scienza quindi era in grado di prevedere con successo il destino dei popoli che, all'epoca in cui è ambientato il romanzo, avevano colonizzato la galassia.
Tutto ebbe inizio con il romanzo “Prima fondazione”, conosciuto anche come “Cronache della galassia”. Il primo capitolo inizia con quella che potremmo definire una grandiosa overture, di proporzioni così eccezionali da far impallidire qualunque kolossal cinematografico. Qui si viene a conoscenza della psicostoria e del suo inventore e del fatto che egli intenda dare vita a quella che sarebbe diventata la più grande istituzione della storia umana, cioè un'immensa enciclopedia in grado di raccogliere tutto il sapere di migliaia di anni di Storia. Gli scienziati della Fondazione avrebbero ricoperto questo incarico, col fine ultimo di preservare l'umanità dalla barbarie che si sarebbe scatenata dopo il crollo del pachidermico impero galattico, il cui declino era stato previsto appunto dalla psicostoria.
C'è parecchia carne al fuoco in questa premessa, non c'è da stupirsi che Asimov abbia avuto materiale per scrivere così tanti libri. Colpisce l'idea di una sorta di destino ciclico dell'umanità, una simmetria con l'impero romano, a seguito del quale ci fu un impoverimento culturale, limitato parzialmente dai monaci cristiani che avevano tentato di salvare il salvabile trascrivendo con cura il sapere umano dell'epoca su un altissimo numero di libri. La Fondazione di Asimov ha lo stesso scopo, qui però non abbiamo a che fare con monaci ma con scienziati, paradossalmente i futuri rappresentanti del nostro lato più spirituale. Colpisce anche il fatto che questa idea di raccogliere e preservare il sapere cavalchi ogni epoca e trovi sempre nuovi adepti in grado di portarla avanti. Sembra anzi che negli ultimi tempi abbia subito una evoluzione, non più semplice raccolta di tomi rilegati, redatta da un gruppo di persone bensì vera e propria istituzione di livello mondiale, con la novità di lasciare l'accesso libero a tutti coloro che, rispettando certe regole di impostazione, intendano contribuire.
E` innegabile che molte delle intuizioni di Asimov si siano poi tramutate in realtà con largo anticipo rispetto alle epoche di cui lui narra e questa dell'Enciclopedia Galattica non fa eccezione, sebbene per adesso si possa chiamare al limite Enciclopedia Planetaria. Probabilmente è proprio questo il segreto del successo di pubblico di quello che è considerato il più grande scrittore di fantascienza di tutti i tempi: la capacità di proporre un futuro remoto plausibile, dove l'uomo è protagonista in uno scenario maestoso e stimolante, dalle possibilità infinite, ricco di sfide e di conquiste.

Ulteriori informazioni su Isaac Asimov
Visita il sito amatoriale italiano di Isaac Asimov
Ulteriori approfondimenti su Isaac Asimov

Continua...

sabato 14 giugno 2008

CHE TU SIA PER ME IL COLTELLO - David Grossman

Raccontarsi a uno sconosciuto sembra essere sempre più semplice che farlo con chi ci sta accanto e ci conosce. Solitamente si teme il giudizio delle persone care o di esporsi troppo offrendosi completamente all'altro. Questo tipo di pericolo, invece, siamo portati a pensare, non si può presentare con uno sconosciuto, con una persona che non abbiamo mai visto e che non vedremo mai più. Si dimentica però che il pericolo non è raccontarsi a qualcun'altro, ma raccontarsi a se stessi. E da se stessi, nel caso in cui si ci scopra troppo, è difficile fuggire.
Lo impareranno a loro spese i protagonisti del romanzo epistolare "Che tu sia per me il coltello" di David Grossman. Un uomo vede ad una festa una donna e, colpito dalla sua figura, le scrive una lettera proponendole di intraprendere un rapporto totale e aperto, libero da ogni velo e basato esclusivamente sulla parola. Inizia così per entrambi un viaggio intimo e profondo verso l'altro, ma soprattutto in se stessi, che li porterà a scoprire e rilevare elementi della propria personalità che sempre avevano tenuto nascosti. Ma la profondità di questo rapporto spaventa l'uomo che finisce col decidere di continuare la propria esistenza, ricacciando indietro tutto ciò che lo scambio di lettere aveva portato a galla. E' un racconto intimo, suggestivo in cui Grossman ci svela la potenza e la sensualità delle parole, aiutandoci a capire quanto sia difficile raggiungere e capire l'intimo dell'altro e di se stessi.

Ulteriori informazioni su David Grossman
Continua...

mercoledì 11 giugno 2008

GUERRA E PACE - Lev Tolstoj

Come un affresco grande quanto una parete, Guerra e Pace rappresenta un'epoca, un paese, un popolo, con la maestosità e la completezza del capolavoro. Siamo di fronte a una vera e propria opera d'arte, consapevole di esserlo. L'impressione infatti è che mentre Tolstoj scriveva la sua storia, già sapesse che si sarebbe trattato di un classico immortale.
La penna del Maestro tratteggia la vita e il mondo della nobiltà russa dell'epoca napoleonica ma lo fa con un piglio divino, egli si fa gigante, si erge oltre il visibile e osserva dall'alto ogni avvenimento, limitandosi a descriverli come se fosse ovunque e sapesse tutto, sempre e in ogni luogo.
Affrontare un tomo come questo vuol dire farsi piccolo piccolo, tornare bambini, sedersi sulle ginocchia di Lev e lasciarsi trasportare dalla sua favola. Vivremo gli amori, le emozioni, le sconfitte dei personaggi, la guerra che ne stravolge le vite, i cambiamenti, la loro intera esistenza che si dipana sotto i nostri occhi con una scorrevolezza disarmante. Perché poi la cosa bella è che Guerra e Pace, a dispetto delle sue dimensioni, non è un libro pesante, difficile o noioso. Al contrario, è avvincente, appassionante, si vorrebbe non finisse mai. E quando finisce non resta che alzarsi in piedi e applaudire spellandosi le mani, che altro si potrebbe fare?
Tolstoj ha le idee chiare su quello che scrive. E non intende nasconderlo. Egli è un convinto sostenitore della teoria del determinismo, ogni evento ha una causa ben precisa, ogni decisione viene presa non in base all'umore del momento ma perché gli eventi succedutisi fino ad allora ci spingono inevitabilmente verso una direzione ineluttabile. Questa sorta di forza universale agisce su tutti noi e tanto più la nostra posizione ci consente di esercitare il potere sugli altri, tanto più questa forza ci condiziona, ci fa schiavi.
Detto così sembrerebbe che Tolstoj ci condanni a una vita già decisa, privandoci del diritto al libero arbitrio, cosa che non può che riempirci di amarezza. In realtà, come dicevo, la cosa è legata al potere di cui disponiamo. Ecco allora che Napoleone, imperatore d'Europa, soffre più di chiunque altro di una simile gabbia. Il grande condottiero viene dipinto come un uomo costretto a prendere decisioni che in apparenza sembrano basarsi sulle proprie scelte ma che invece sono sempre sospinte dalla piega degli eventi nei quali si trova coinvolto. Così, mentre tutti inneggiano alla sua sagacia, egli, dentro di sé, sa che le sue mosse sono dirette non già da una propria geniale intuizione ma dalla necessità del momento.
E' il contrario di quanto accade invece al più miserabile degli uomini, al quale è concessa piena libertà di vivere. Il semplice è l'unico che può permettersi il lusso di essere veramente libero.

Ulteriori informazioni su Lev Tolstoj
Approfondimenti sulla Campagna di Russia napoleonica
Continua...

domenica 8 giugno 2008

RACCONTI - Edgar Allan Poe

L'esperienza della lettura è tanto più bella quanto più la si vive con trasporto. Un racconto ben scritto è in grado di comunicare emozioni con la stessa intensità di un brano musicale o di una pellicola cinematografica, pur senza l'ausilio dei sensi.
Ma qui ci vuole cautela. Quando ci accingiamo a leggere un racconto di Poe, quello che abbiamo fra le mani non è più una pagina di un libro ma una finestra sul mondo degli incubi. Non ce ne accorgiamo ma se potessimo vederci da fuori mentre siamo assorti nella lettura, ci scopriremmo con la fronte aggrottata, i nervi tesi, turbati, come se un mostro nero fosse pronto a balzar fuori e ad aggredirci. Ce ne rendiamo conto solo alla fine, quando chiudiamo il libro e allora sorridiamo di noi stessi, sorpresi. Ci sarà la solita pantomima, dove giuriamo e spergiuriamo che Poe non ci ha affatto terrorizzati, che i suoi racconti sono vecchi, roba da bambini e non fa più paura a nessuno. Poi, quando meno te lo aspetti, ecco un ricordo che salta fuori, uno spettro che ti aspetta dietro l'angolo, una bestia che balza dal muro, un tentacolo che striscia su per le gambe. E i brividi scorrono su e giù per la schiena. Allora Poe avrà colpito di nuovo.
La forza del grande maestro del terrore non sta nel modo in cui solletica i sensi. Non si parla di sangue, di morti ammazzati o altre atrocità del genere. Il suo terreno di sfida sono gli incubi, la parte insondabile della nostra mente che meno siamo in grado di controllare, quella più vulnerabile, quella che cerchiamo in tutti i modi di tenere al riparo perché sappiamo che, se viene sollecitata, non può far altro che subire, accusare il colpo.
Poe sa sempre dove e come affondare il suo stiletto e vince, senza possibilità di appello. A noi non resta che restare sul terreno, a tamponare la ferita, a cercare di capire dove abbiamo sbagliato e tentare, se possibile, di migliorare le difese per affrontare il prossimo attacco.

Ulteriori informazioni su Edgar Allan Poe

Continua...

venerdì 6 giugno 2008

VISIONI DAL FUTURO - Philip K. Dick

Questo è il titolo che l'editore Fanucci ha dato a una raccolta che comprende il romanzo “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” e altri racconti.
Leggere un'opera di Dick significa prepararsi a provare angoscia, quella che ci prende quando ci troviamo soli, al buio, in un luogo che non si conosce. Nelle storie di Dick non esistono punti fermi, non esistono certezze, ogni volta che si ha finalmente la sensazione di aver acquisito un risultato, ci si accorge, spesso quando ormai è troppo tardi, che qualcosa ci era sfuggito, un dettaglio apparentemente insignificante e invece determinante, grazie al quale avremmo dovuto intuire che qualcosa non andava, che c'era un inganno, un imprevisto. La novità in Dick è che, a differenza di un'impostazione kafkiana, dove l'individuo finisce col rappresentare la vittima senza speranza di un meccanismo perverso, qui, nel pieno di una perfetta coerenza, nessuno può sentirsi al sicuro, nemmeno coloro che apparentemente manovrano le leve di comando. Ce n'è per tutti, grandi e piccoli, forti e deboli, buoni e malvagi.
Nelle visioni dal futuro di Dick, l'uomo ha ormai perso ogni contatto con il mondo da cui proviene, la tecnologia invade ogni cosa, dentro e fuori il corpo umano e il suo creatore finisce col diventarne vittima, anche quando è convinto di esserne l'assoluto padrone. C'è un momento in cui egli si rende conto che la situazione gli sta scappando di mano ma sarà fatalmente sempre troppo tardi. L'uomo firma inevitabilmente la sua condanna, è colui che passa inconsapevolmente il testimone di nuova razza dominante, con l'ulteriore beffa di rendersi conto anche del fatto che questa, in quanto suo stesso prodotto, è fallace e non potrà sostituirsi al suo creatore con successo, al fine di riuscire laddove egli ha fallito. Una vera condanna senza appello.
Si ha la sensazione che Dick disprezzi se stesso e i suoi simili, ci accusa di avidità, di scarsa lungimiranza, siamo un treno in corsa, talmente lanciato da non preoccuparsi nemmeno di guardare se ci sono ancora binari da percorrere di fronte a sé. La vocazione ecologista di Dick è evidente ma resta sempre e solo sullo sfondo, un ricordo sbiadito e nulla più. In tutti i racconti c'è sempre la guerra, l'unica, vera, grande piaga che ci porterà alla rovina, una guerra in corso o appena passata che lascia dietro di sé una scia indelebile, che si porta via qualcosa del vecchio mondo che non avremo più modo di ritrovare. E così, pezzo dopo pezzo, smontiamo noi stessi, fino a rimanere con niente se non un incolmabile rammarico.
E` spietato, Dick, non ci lascia scampo, ci sbatte la sua verità in faccia e lo fa con sarcasmo, con cinico disprezzo. E` profondamente inquietante e purtroppo tremendamente attuale. Non è un caso che così tanti registi traggano film di cassetta dai suoi racconti. La verità è che, nel nostro inconscio, noi sappiamo che questa fantascienza potrebbe non essere così fantasiosa. E` un altro specchio nel quale abbiamo paura di guardare. Dick ci prende per i capelli, ci trascina davanti ad esso e ci fa guardare.

Ulteriori informazioni su Philip K. Dick
Visita il sito ufficiale di Philip K. Dick
Leggi la nostra recensione sul film Blade Runner
Leggi la nostra recensione sulla colonna sonora di Vangelis

Guarda questa intervista (in lingua originale) a Philip K. Dick:


Continua...

lunedì 2 giugno 2008

RICORDA CON RABBIA - John Osborne

Ricorda con rabbia di John Osborne è una commedia dura dove anche il lieto fine lascia comunque l'amaro in bocca e l'amore, pur trionfando, si prospetta essere doloroso e autodistruttivo.
Al contrario dello schema tradizionale delle commedie inglesi dove l'uomo dell'alta borghesia lotta contro il mondo per far salire al suo rango una ragazza di umili origini, qui è la ragazza borghese che si declassa per amore di un giovane povero e senza prospettive.
Alison, la protagonista dell'opera di Osborne, ha il bisogno di sentirisi vittima e di soffrire per amore al fine di espiare le colpe della sua classe, la upper middle class inglese che proprio negli anni '50 comincia a veder crollare la propria identità.
Jimmy Porter, marito di Alison, a sua volta necessità di sentirsi giudice e carnefice di quella stessa classe che tanto odia, anche se questo significa rifarsi sulla donna amata. E' su queste basi che si fonda il rapporto tra i due che non può essere certo felice, un rapporto quotidiano fatto di continue invettive e sproloqui da parte di Jimmy, perennemente arrabbiato.
Nel 1956, quando fu rappresentata per la prima volta nei teatri inglesi, la commedia scandalizzò il pubblico inglese, non tanto per il linguaggio volgare, quanto per il fatto che per la prima volta veniva rappresentata la realtà della generazione inglese sotto i trent'anni, con le sue aspirazioni e i suoi fallimenti e la sua rabbia verso tutto ciò che aveva segnato per lungo tempo la vita inglese.
Al lettore moderno quello che rimane non è tanto la frustrazione causata dalla differenza di classe, ma la fatica legata ad un rapporto amoroso in cui l'uno riversa le proprie repressioni sull'altro e che tuttavia proprio su questo si basa. E stupisce il fatto che, nonostante tutto, entrambi non possano fare a meno l'uno dell'altro.

Ulteriori informazioni su John Osborne
Ulteriori informazioni su Ricorda con rabbia

Acquista Ricorda con rabbia
Continua...

domenica 1 giugno 2008

L.A. CONFIDENTIAL - James Ellroy

Libro faticoso, questo. Non perché sia di difficile lettura, al contrario, lo stile di Ellroy è talmente diretto ed essenziale che è davvero alla portata di tutti. E' la trama ad essere complicata, esposta in modo non lineare, piena di salti logici, di repentini cambi di scena. Ci sono tanti di quei nomi che diventa difficile ricordarsi di chi si sta parlando in un dato momento. E gli indizi, frammentari, sparsi lungo tutta la trama, cosa che rende ancor più difficile correlare i fatti, che si susseguono velocemente. Ho trovato davvero difficoltoso capire in certi momenti cosa stesse davvero accadendo e perché, al punto che, quando i personaggi si producono in certe deduzioni o rimangono colpiti da fatti che possono dare una svolta allo svolgimento della trama, non mi resta che prenderne atto e "fidarmi" di loro, facendomi trascinare in un vortice inarrestabile fino alla fine, nella speranza che, allora, avrò capito qualcosa.
Ma non è così purtroppo, gli enigmi vengono illustrati e le soluzioni fornite senza che si riesca ad apprezzarne il senso. Rimane solo un gran frastuono, quello prodotto dai colpi di pistola, dai litigi dei vari personaggi, dagli ambienti sordidi che frequentano. Non posso sapere però se questo è quello che Ellroy intendeva mettere in evidenza. Se è così, ci è riuscito. Se invece intendeva dire qualcos'altro, temo di non averlo colto oppure di non esserci riuscito del tutto.
Provo allora ad approfondire, ad "espandere le mie sensazioni", come diceva quel tale ed ecco che emerge un senso di non-conclusione. Forse quello che Ellroy intende esprimere è la totale incapacità delle istituzioni di sganciarsi dal suo nemico, il crimine. Non solo non lo sconfigge, ci si mischia, lo alimenta, coloro che dovrebbero far rispettare le leggi sono i primi ad infrangerle. Il cinismo raggiunge livelli disperati e tutto ciò che spinge gli uomini a cercare la Giustizia sono motivazioni puramente personali. Niente idealismi, niente atti di eroismo fini a se stessi, vige la legge del più forte, in una eterna partita a guardie e ladri, dove già si sa che non ci saranno vincitori. Una visione estremamente negativa, che lascia l'amaro in bocca.
A quanto pare Ellroy, con "L.A. Confidential", ci comunica più di quanto non sembri a prima vista. Purtroppo esagera con l'intreccio, esagera con le situazioni estreme, con il linguaggio rude e volgare, esagera un po' con tutto. E si finisce col perdere il gusto della lettura, subentra un po' di noia e non si riesce ad appassionarsi a nessuno dei tanti personaggi che popolano la trama. Ma forse, anche questo era voluto. A ciascuno la scelta di apprezzarlo o no.

Ulteriori informazioni su James Ellroy
Ulteriori informazioni sul film

Continua...