venerdì 6 giugno 2008

VISIONI DAL FUTURO - Philip K. Dick

Questo è il titolo che l'editore Fanucci ha dato a una raccolta che comprende il romanzo “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” e altri racconti.
Leggere un'opera di Dick significa prepararsi a provare angoscia, quella che ci prende quando ci troviamo soli, al buio, in un luogo che non si conosce. Nelle storie di Dick non esistono punti fermi, non esistono certezze, ogni volta che si ha finalmente la sensazione di aver acquisito un risultato, ci si accorge, spesso quando ormai è troppo tardi, che qualcosa ci era sfuggito, un dettaglio apparentemente insignificante e invece determinante, grazie al quale avremmo dovuto intuire che qualcosa non andava, che c'era un inganno, un imprevisto. La novità in Dick è che, a differenza di un'impostazione kafkiana, dove l'individuo finisce col rappresentare la vittima senza speranza di un meccanismo perverso, qui, nel pieno di una perfetta coerenza, nessuno può sentirsi al sicuro, nemmeno coloro che apparentemente manovrano le leve di comando. Ce n'è per tutti, grandi e piccoli, forti e deboli, buoni e malvagi.
Nelle visioni dal futuro di Dick, l'uomo ha ormai perso ogni contatto con il mondo da cui proviene, la tecnologia invade ogni cosa, dentro e fuori il corpo umano e il suo creatore finisce col diventarne vittima, anche quando è convinto di esserne l'assoluto padrone. C'è un momento in cui egli si rende conto che la situazione gli sta scappando di mano ma sarà fatalmente sempre troppo tardi. L'uomo firma inevitabilmente la sua condanna, è colui che passa inconsapevolmente il testimone di nuova razza dominante, con l'ulteriore beffa di rendersi conto anche del fatto che questa, in quanto suo stesso prodotto, è fallace e non potrà sostituirsi al suo creatore con successo, al fine di riuscire laddove egli ha fallito. Una vera condanna senza appello.
Si ha la sensazione che Dick disprezzi se stesso e i suoi simili, ci accusa di avidità, di scarsa lungimiranza, siamo un treno in corsa, talmente lanciato da non preoccuparsi nemmeno di guardare se ci sono ancora binari da percorrere di fronte a sé. La vocazione ecologista di Dick è evidente ma resta sempre e solo sullo sfondo, un ricordo sbiadito e nulla più. In tutti i racconti c'è sempre la guerra, l'unica, vera, grande piaga che ci porterà alla rovina, una guerra in corso o appena passata che lascia dietro di sé una scia indelebile, che si porta via qualcosa del vecchio mondo che non avremo più modo di ritrovare. E così, pezzo dopo pezzo, smontiamo noi stessi, fino a rimanere con niente se non un incolmabile rammarico.
E` spietato, Dick, non ci lascia scampo, ci sbatte la sua verità in faccia e lo fa con sarcasmo, con cinico disprezzo. E` profondamente inquietante e purtroppo tremendamente attuale. Non è un caso che così tanti registi traggano film di cassetta dai suoi racconti. La verità è che, nel nostro inconscio, noi sappiamo che questa fantascienza potrebbe non essere così fantasiosa. E` un altro specchio nel quale abbiamo paura di guardare. Dick ci prende per i capelli, ci trascina davanti ad esso e ci fa guardare.

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Guarda questa intervista (in lingua originale) a Philip K. Dick:


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