domenica 12 ottobre 2008

IL GATTOPARDO - Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Tomasi di Lampedusa non si limita a scrivere, egli dipinge con le parole. Quest'uomo ha il dono di saper tratteggiare con pochi, rapidi e decisi colpi di pennello ritratti e paesaggi. La scrittura è sempre incisiva, non servono lunghe descrizioni o giri di parole, in poche battute l'immagine di don Fabrizio è già bella definita, l'estate siciliana così limpida che pare di sentirne il calore sulla pelle. Il Gattopardo è prima di tutto una meraviglia di estetica letteraria, Tomasi di Lampedusa sa usare bene le parole, egli seduce il lettore, ne cattura l'attenzione, l'occhio della mente, è come trovarsi di fronte un dipinto opulento e restarne affascinati.
Tuttavia il romanzo ha una sua profondità che la bellezza di cui è dotato riesce a comunicare con efficacia. Il Gattopardo infatti è la storia della fine di un'epoca o meglio, della fine di una classe sociale. L'elemento scatenante è Garibaldi e i suoi mille, la vittima illustre è l'aristocrazia. Nella seconda metà dell'Ottocento italiano, l'aristocrazia viveva ormai solo più specchiandosi nella propria immagine riflessa. In particolar modo nel meridione, dove il regno delle Due Sicilie consumava i suoi ultimi, decadenti giorni. Ma la classe sociale che per secoli aveva dominato l'Italia era in declino ovunque si volgesse lo sguardo, compresi i Savoia dai quali tutto aveva avuto inizio. Il vero flagello dell'aristocrazia infatti non era Garibaldi o Mazzini con le sue idee rivoluzionarie bensì altri due ancor più risoluti avversari: la propria stessa stanchezza e la nuova classe sociale emergente, cioè la borghesia.
Tomasi di Lampedusa si serve della nobile famiglia dei Salina per raccontarci la vera rivoluzione italiana che non è quella dei carbonari e dell'eroe dei Due Mondi ma quella del lento, inesorabile incedere dei latifondisti, degli industriali, dei banchieri, di coloro insomma che hanno grandi disponibilità di denaro col quale comprare a poco a poco tutto ciò che un tempo era stato proprietà di principi e baroni, gli stessi che hanno perduto il nerbo del comando col quale un tempo si imponevano.
E' il mondo che cambia, il passaggio di consegne fra chi è troppo vecchio e stanco per continuare e chi invece possiede l'entusiasmo e la forza necessarie per condurre i giochi. Solo un'entità resiste al passare del tempo, la Chiesa, che non si schiera ma si accompagna sempre a chi è destinato al comando, garantendosi così l'immortalità.
Lo sfondo di questa grande storia è una Sicilia incerta, solleticata dai venti di rinnovamento ma trattenuta, fiaccata da un passato di dominazioni, in parte dell'uomo, in parte della natura, che l'hanno ormai privata dello slancio necessario per rendersi protagonista del cambiamento in atto. Tomasi di Lampedusa ce la descrive con l'amarezza e la frustrazione di chi sa che il cambiamento è necessario ma anche che esso non arriverà mai perché manca la forza per compierlo. Un romanzo ancora molto attuale, nonostante parli di un'epoca lontana più di un secolo.

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sabato 11 ottobre 2008

VOLEVO SOLO LAVORARE - Luigi Furini

L'articolo 1 della Costituzione recita che l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Ma quale lavoro? Quello dei giovani precari che in certi casi vengono assunti e licenziati ogni due ore? Quello di ex manager alla soglia dei 50 anni che non riescono più a trovare un impiego perchè troppo anziani? Quello dei lavoratori sottoposti a mobbing e umiliati fino ad essere costretti ale dimissioni?
Il romanzo inchiesta di Luigi Furini intraprende un viaggio nel mondo del lavoro dei giorni nostri, raccontando i problemi concreti e quotidiani che i lavoratori devono affrontare e che la politica non considera.
Le situazioni descritte sono talmente paradossali da essere ridicole; solo che sono vere e non è facile ridere di fronte alle problematiche e alle crisi depressive di chi deve districarsi nella giungla delle nuove forme di impiego e al silenzio colpevole della politica.
Di fronte a questo silenzio, come spesso capita, è il mondo della cultura ad affrontare per primo i cambiamenti della società e a cercare di portarli agli occhi del grande pubblico per spingere ad una riflessione. Questo è quello che vuole fare Furini raccontando la sua esperienza, numerosi dati e le testimonianze di altri lavoratori, questo è quello che ha cercato di fare Virzì recentemente nel film Tutta la Vita Davanti. La speranza è che l'opinione pubblica prenda atto della portata dei cambiamenti in corso e spinga il mondo politico ad affrontarli con l'attenzione che meritano.

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giovedì 2 ottobre 2008

I MALAVOGLIA - Giovanni Verga

Uscire in mare comporta dei rischi, resi ancora più drammatici dalla necessità di giungere a destinazione per motivi non già di semplice divertimento e voglia di avventura ma per questioni di sostentamento, come potrebbe essere un viaggio d'affari o il trasporto di merce preziosa.
Colui che narra un simile evento può farlo col chiaro intento di intrattenere la propria platea divertendola, regalando ad essa momenti emozionanti. La conclusione, qualunque essa sia, deve necessariamente essere “gratificante”al fine di raggiungere il proprio scopo, intrattenere, appunto.
Nel momento in cui si intende esporre lo stesso evento in forma più simile alla cronaca, la gratificazione finale del lettore non ha più alcuna importanza. E questo presupposto vale ancora di più nel momento in cui il verista intende proporre uno studio in piena regola, un'analisi dell'umano comportamento di fronte alle avversità della vita.
Ecco perché Giovanni Verga, descrivendo il viaggio su una piccola imbarcazione di una parte della famiglia soprannominata Malavoglia, non ne descrive gli epici momenti durante i quali gli eroici protagonisti sfuggono alla ferocia del mare, bensì la sofferenza causata da un inevitabile (si potrebbe dire “ragionevole”) naufragio. Perché Verga sta parlando della vita reale e nella vita reale le piccole barche, nel mare grosso, nel pieno della tempesta, affondano e tanti saluti.
E il resto della famiglia sa benissimo che non servirà a nulla restare sulla spiaggia ad aspettare il ritorno dei propri cari grazie al miracoloso intervento di qualche provvidenziale mercantile che si trovava a passare nei pressi del disastro. Perché una cosa del genere possa accadere servirebbe una quantità di fortuna esagerata ma lo sanno tutti che queste cose succedono solo nei libri di avventure.
Forse però, descrivendo tanta pena, Verga vuole farci capire che non è una buona idea sfidare la sorte, uscendo in mare aperto perché dobbiamo a tutti i costi raggiungere il mercato lontano dove vendere a buon prezzo la nostra mercanzia, nonostante si preveda brutto tempo. Perché così facendo, invece di migliorare la nostra qualità della vita, è più probabile che la peggioreremo drasticamente, con la scomparsa di uomini e merce.
Ed ecco la grande speranza di Verga: studiare il comportamento umano per capirne gli errori e fare in modo che, una volta analizzati, li si possa codificare, riconoscere, permettendoci così di prevenirli. Un'impresa ardua, probabilmente mai del tutto compiuta.

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