Come un affresco grande quanto una parete, Guerra e Pace rappresenta un'epoca, un paese, un popolo, con la maestosità e la completezza del capolavoro. Siamo di fronte a una vera e propria opera d'arte, consapevole di esserlo. L'impressione infatti è che mentre Tolstoj scriveva la sua storia, già sapesse che si sarebbe trattato di un classico immortale.
La penna del Maestro tratteggia la vita e il mondo della nobiltà russa dell'epoca napoleonica ma lo fa con un piglio divino, egli si fa gigante, si erge oltre il visibile e osserva dall'alto ogni avvenimento, limitandosi a descriverli come se fosse ovunque e sapesse tutto, sempre e in ogni luogo.
Affrontare un tomo come questo vuol dire farsi piccolo piccolo, tornare bambini, sedersi sulle ginocchia di Lev e lasciarsi trasportare dalla sua favola. Vivremo gli amori, le emozioni, le sconfitte dei personaggi, la guerra che ne stravolge le vite, i cambiamenti, la loro intera esistenza che si dipana sotto i nostri occhi con una scorrevolezza disarmante. Perché poi la cosa bella è che Guerra e Pace, a dispetto delle sue dimensioni, non è un libro pesante, difficile o noioso. Al contrario, è avvincente, appassionante, si vorrebbe non finisse mai. E quando finisce non resta che alzarsi in piedi e applaudire spellandosi le mani, che altro si potrebbe fare?
Tolstoj ha le idee chiare su quello che scrive. E non intende nasconderlo. Egli è un convinto sostenitore della teoria del determinismo, ogni evento ha una causa ben precisa, ogni decisione viene presa non in base all'umore del momento ma perché gli eventi succedutisi fino ad allora ci spingono inevitabilmente verso una direzione ineluttabile. Questa sorta di forza universale agisce su tutti noi e tanto più la nostra posizione ci consente di esercitare il potere sugli altri, tanto più questa forza ci condiziona, ci fa schiavi.
Detto così sembrerebbe che Tolstoj ci condanni a una vita già decisa, privandoci del diritto al libero arbitrio, cosa che non può che riempirci di amarezza. In realtà, come dicevo, la cosa è legata al potere di cui disponiamo. Ecco allora che Napoleone, imperatore d'Europa, soffre più di chiunque altro di una simile gabbia. Il grande condottiero viene dipinto come un uomo costretto a prendere decisioni che in apparenza sembrano basarsi sulle proprie scelte ma che invece sono sempre sospinte dalla piega degli eventi nei quali si trova coinvolto. Così, mentre tutti inneggiano alla sua sagacia, egli, dentro di sé, sa che le sue mosse sono dirette non già da una propria geniale intuizione ma dalla necessità del momento.
E' il contrario di quanto accade invece al più miserabile degli uomini, al quale è concessa piena libertà di vivere. Il semplice è l'unico che può permettersi il lusso di essere veramente libero.
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