Osservare il proprio operato con occhio critico è forse una delle cose più difficili, soprattutto quando dobbiamo soffermarci sull'espressione della parte oscura del nostro animo. Tanto più tentiamo di rifuggire gli incubi del nostro passato tanto più essi torneranno ad assillarci. E` la nostra coscienza che pretende attenzione e non basta far finta di non ricordare o, peggio ancora, negare i fatti per cancellare la Storia.
Kaputt non impone nulla al lettore, la sua è una forma più simile a quella del documentario che del romanzo, si limita a raccontare ciò che è avvenuto durante gli anni della seconda guerra mondiale, attraverso gli occhi di un uomo che ha scelto di non combattere la guerra ma di osservarla da vicino. Curzio Malaparte, come una sorta di inviato del fronte, va in giro per mezza Europa, passando per i villaggi bruciati e le città semi abbandonate. Il suo distacco, il suo sforzo di restar fuori dai giochi, tentando il più possibile di mantenere una seppur difficile libertà di movimento, gli permette di vivere con obiettività quanto accade intorno a lui. Non ci risparmia nulla di quei giorni, nemmeno i momenti più feroci, più crudeli, quelli che si tenta disperatamente di dimenticare e che ci perseguitano. Malaparte li documenta, con il cinismo del cronista, con la deferenza del professionista, una sorta di becchino che, di fronte alla morte, mantiene il suo contegno ma non cede al dolore o alla disperazione.
Solo la pietà trova spazio nel suo cuore, pietà per un genere umano completamente immerso nelle proprie ideologie assolutiste, talmente imbevuto di esse da non rendersi conto che lo manderanno “kaputt”, che lo porteranno alla rovina. Curzio Malaparte accompagna i propri simili in questo doloroso cammino, soffrendo non tanto per le atrocità commesse sul momento ma sulla terribile colpa e vergogna che peseranno su di essi per molto tempo, forse per sempre.
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